Verità per Giulio Regeni
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CGIL LEGALITÁ

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I RISCHI POST-COVID

“Nel corso dell’intero processo Aemilia sono emerse le proficue collaborazioni instaurate tra l’imprenditoria emiliana e la ‘ndrangheta. Analizzando una vicenda estorsiva è emersa la figura dell’imprenditore modenese Augusto Bianchini… Il suo rapporto con esponenti del sodalizio mafioso affonderebbe le radici in un tempo assai più risalente, grazie alla collaborazione instaurata sull’altro terreno elettivo di azione del binomio imprenditoria/‘ndrangheta, sarebbe a dire quello della falsa fatturazione.”
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LA FAMIGLIA BIANCHINI: IL CASO PIÙ COMPLESSO DI AEMILIA

“Nel corso dell’intero processo Aemilia sono emerse le proficue collaborazioni instaurate tra l’imprenditoria emiliana e la ‘ndrangheta. Analizzando una vicenda estorsiva è emersa la figura dell’imprenditore modenese Augusto Bianchini… Il suo rapporto con esponenti del sodalizio mafioso affonderebbe le radici in un tempo assai più risalente, grazie alla collaborazione instaurata sull’altro terreno elettivo di azione del binomio imprenditoria/‘ndrangheta, sarebbe a dire quello della falsa fatturazione.”
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BLASCO, SERGIO E LA “CARENZA PROBATORIA”

Ci sono tre personaggi, nella storia di ‘ndrangheta narrata dal processo Aemilia, legati oltre ogni ragionevole dubbio da un vincolo di profonda amicizia, cementata in anni e anni di un vissuto comune che emerge pure dai tanti capi di imputazione di cui debbono rispondere in solido. Sono il collaboratore di giustizia Antonio Valerio e i due suoi compari d’avventure Eugenio Sergio e Gaetano Blasco.
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MARIA PENTITA

Non c’è solo Maria di Magdala (Israele), seguace di Gesù, a pentirsi. Lo fa anche Maria di Montecchio (Reggio Emilia), seguace, in quanto moglie, di Giuseppe Giglio, la “mente economica” della cosca emiliana di ‘ndrangheta nel terzo millennio.
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PALMO E GIUSEPPE, UNITI PER SEMPRE

Reggio Emilia non è mai stata nella sua storia millenaria sede di ducato o di contea, eppure possiamo dire con una battuta che ospita nel suo territorio provinciale almeno due regge: quella di Rivalta, voluta nel 1720 da Carlotta d’Aglae, figlia di Filippo d’Orleans, e quella di Montecchio,
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“BOSCHETARI” IN ROMAGNA

I “boschetari” in rumeno sono i senza tetto, i vagabondi, i barboni. Se vuoi offendere uno gli puoi dire: “Ce, trăiesti într-un sat de boschetari??” Che significa: “Ma dove vivi, in un villaggio di barboni?”
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UNA CREPA IN PROCURA

Martedì 16 giugno 2020 è una data da ricordare nella lunga vicenda processuale di Aemilia. Per la prima volta, da quando l’allora Sostituto Procuratore Antimafia Marco Mescolini presentò richieste di misure cautelari che portarono agli arresti del gennaio 2015, emerge una diversa valutazione dei fatti e della loro rilevanza, all’interno della stessa Magistratura che esercita l’azione penale. Magari c’erano anche prima di oggi, diversità di opinione, come è legittimo e umano, ma certamente mai si erano manifestate in aula. Martedì 16 giugno invece il Sostituto Procuratore Generale dott. Valter Giovannini, discutendo in Corte d’Appello a Bologna il caso dell’imputato e imprenditore Gino Gibertini, condannato nel 2018 a otto anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso, ha chiesto per lui l’assoluzione, associandosi così alla richiesta dei legali difensori, Tommaso Guerini e Luca Pastorelli. In primo grado i PM di Aemilia avevano invece chiesto 17 anni di carcere.
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UN GIOVEDÌ COME TANTI…

Giovedì 11 giugno: alle prime luci dell’alba alcuni carabinieri provenienti dalla Brianza e da Como, assieme ai colleghi del Comando Provinciale di Reggio Emilia, perquisiscono l’abitazione di un imprenditore calabrese incensurato, di 61 anni, che abita a Sant’Ilario d’Enza, al confine tra le province di Reggio e di Parma.
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TRASI MUNNIZZA E N’IESCI ORO

La frase del titolo, intercettata e registrata, l’ha pronunciata un trapanese “uomo d’onore”: Vincenzo Virga, la cui famiglia era specializzata nello smaltimento clandestino di rifiuti ospedalieri e pericolosi.
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LE NAVI A PERDERE DI FRANCESCO FONTI (terza parte)

Non è solo il collaboratore di giustizia Francesco Fonti che mette in moto le indagini in Italia sul commercio clandestino di rifiuti tossici e sulle navi a perdere affondate nel Mediterraneo con il loro carico nocivo. Un esposto di Legambiente del marzo 1994 denuncia l’esistenza di discariche abusive con materiale radioattivo in Asprimonte: quelle che la cupola della ‘ndrangheta vede di malocchio a casa propria e apprezza invece all’estero o in fondo al mare.
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LE NAVI A PERDERE DI FRANCESCO FONTI (seconda parte)

Il memoriale del collaboratore di giustizia Francesco Fonti, consegnato alla Direzione Nazionale Antimafia nel 2005, ci porta dritto agli anni Novanta e alle navi della Shifco, a suo dire utilizzate per il trasporto clandestino di rifiuti tossici e radioattivi in cui riuscì ad infilarsi la ‘ndrangheta. Shifco è il nome di una società di diritto somalo proprietaria di sei imbarcazioni donate dal Governo italiano al paese africano. Una flotta di pescherecci e navi frigo che viene poi affidata ad una seconda società, la Shifco Malit srl, costituita nel gennaio del 1990 a Mogadiscio.