Verità per Giulio Regeni

3023: ODISSEA NELLO STRAZIO

di Paolo Kubrick

Nel 3022 finalmente la mafia era stata definitivamente sconfitta.
In Emilia Romagna gli ultimi focolai di intimidazione, assoggettamento e omertà si erano spenti con le sentenze della Corte Galattica che al termine di ben quattro processi aveva condannato tutti i mafiosi colti a operare in Regione senza il regolare permesso di falsa fatturazione. Permesso che veniva rilasciato dalle autorità competenti a patto che le FOI (fatture per operazioni inesistenti) prevedessero una percentuale di profitto massimo non superiore al 10%, oltre ad un versamento fiscale minimo del 4% alla Pubblica Amministrazione che chiudeva un occhio sull’operazione (quota aumentata al 7% in caso di chiusura certificata di entrambi gli occhi).
Il primo processo, chiamato A/e/i/o/umilia, era arrivato al terzo e definitivo grado di giudizio, con la pena più pesante inflitta a tal Marco Pentolini (o Tegamini, o Cucchiaini, non ricordo bene), responsabile di avere… di avere… di cosa sia responsabile non è ancora chiaro; ma certamente deve averla fatta grossa per essere stato spedito al confino “in aeternum” nella remota area dell’universo provvisoriamente chiamata Toscana.
Il secondo processo, chiamato “La regina invidiosa di Biancaneve”, aveva finalmente dato ragione a tutti coloro (i più) che da anni si battevano con determinazione e coraggio per sfatare la leggenda metropolitana della “’ndrangheta radicata a Brescello”. Nel 3022 il principale condannato nell’appello/abbreviato, ex presidente di un Consiglio Comunale, tal Giuseppe Caruso (8 anni e 2 mesi di carcere) era nato a Cosenza e risiedeva a Piacenza. Il principale condannato nel primo grado del rito ordinario, tal Francesco Grande Aracri (19 anni e 5 mesi di carcere) era nato e aveva residenza a Cutro. Inoltre il reato di caporalato, all’epoca dei fatti considerato particolarmente odioso ma poi divenuto prassi virtuosa di abbattimento dei costi d’impresa, era contestato in Belgio. Cosa c’entrava dunque Brescello?
Il terzo processo non era altro che la prosecuzione del primo e del secondo, e chiamarlo “Perseverare è diabolico” era stata una giusta intuizione di chi vedeva nell’accanimento dei Procuratori Antimafia una indebita intromissione nelle ferree leggi del mercato. Contestavano ben 13 milioni di euro di false fatture, emesse in tempi recenti da otto società appartenenti a uomini ritenuti appartenenti alla ‘ndrangheta emiliana, a beneficio di 372 diverse società o persone fisiche del territorio. Ma stiamo scherzando? Vogliamo affossare l’economia emiliana? Gettare fango e discredito su 372 famiglie (come minimo) che hanno colto l’opportunità di un miglioramento dei conti aziendali a beneficio del complessivo Made in Italy?
Il quarto processo, chiamato nei gossip “Meglio tardi che mai”, si era incaponito a voler giudicare quattro persone ritenute responsabili di omicidi avvenuti in un tempo lontanissimo, quando ancora il calendario non segnava l’inizio del secondo millennio dopo Cristo. L’appello li aveva condannati all’ergastolo ma la suprema Corte Galattica di Cassazione aveva deciso che quel processo andava rifatto. Non c’era fretta e comunque si trattava di storia passata.
Il 3023 si apriva dunque con i migliori auspici. Un anno tranquillo, senza fatti di sangue, senza l’assillo di dover narrare incendi, estorsioni, usure, false fatturazioni, prepotenze, falsificazioni, gare truccate.
Proprio per questo motivo la Consulta Galattica per la Legalità decise di riunirsi ai primi di gennaio, in ossequio dell’articolo 1 del proprio Statuto, modificato nel corso dei secoli, che a quel tempo sanciva: “La Consulta è chiamata a riunirsi per Statuto solo quando non ce n’è bisogno. È comunque tenuta a non prendere, nel corso della eventuale suddetta riunione, alcuna decisione che possa alterare lo stato di tranquillità delle cose.”
Stando così le direttive, nessuno poteva allora immaginare che un membro della Consulta, il cui nome richiamava un non meglio precisato quadernino rosso il cui contenuto era sconosciuto ai più e il cui autore era morto da tempo (Mao?), decidesse improvvisamente di abbandonare la Consulta. Accusandola di scarsa capacità operativa e progettuale.
Ma come: se la Consulta non faceva nulla, la colpa era certamente di chi c’era dentro. E voi del quadernino rosso c’eravate fino a ieri. Quindi?
La storia dei secoli passati ci insegna che sempre, nei momenti di maggiore serenità e benessere, forze oscure tramavano nel nostro Paese per alterare lo stato delle cose. Tentavano di emergere dall’indifferenza generale con cui i loro messaggi venivano accolti attuando una “strategia della tensione” volta a spostare l’attenzione, a distogliere dai problemi quotidiani; in una parola a “destabilizzare”.
Questi del Quadernino Rosso non furono da meno e l’intero 3023 costrinse tutte le persone per bene ad operare, con fatica e abnegazione, per rimediare ai danni procurati all’intera comunità galattica.

 

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