In questi ultimi due mesi la nostra vita, le nostre azioni, i nostri pensieri sono tutti concentrati su come e quando usciremo da questo incubo in cui siamo precipitati.
In cui abbiamo accettato anche restrizioni alle libertà personali e ad abitudini consolidate che mai avremmo pensato di mettere in discussione.
Il dramma più grosso lo hanno vissuto le persone, e i loro familiari, che ammalandosi non sono riusciti a sconfiggere il virus.
I numeri ci dicono che molte di queste persone erano anziani. Erano la nostra storia, le nostre radici, la nostra cultura. Ora che ci avviciniamo al 25 Aprile ci viene in mente che forse anche se molti di coloro che ci hanno lasciato in questi giorni non avevano vissuto da protagonisti, per ragioni anagrafiche, quella fase fondamentale della nostra storia avevano però vissuto il clima di rinascita che si respirava in quegli anni, diventando “staffette” di conoscenza per le generazioni successive.
Dalla conoscenza di quei fatti, dalla memoria di quel che è successo, veniamo noi.
Anche per loro quest’anno, dovremmo essere ancora più bravi a ricordare cosa significa il 25 aprile. E lo faremo, anche se non potremo manifestare in piazza e non saremo visibili come sempre.
Se abbiamo vissuto 75 anni di pace, di avanzamenti democratici (pur con periodici tentativi di restaurazione) se l’Italia è stata ammessa nel novero dei paesi civili, lo dobbiamo alle migliaia di giovani che persero la vita per cacciare gli invasori nazisti e i loro servi fascisti.
Lo dobbiamo agli operai che, sfidando i licenziamenti di massa, la repressione, le deportazioni nei campi di concentramento, scioperarono contro il regime ed una guerra assurda che stava distruggendo ed affamando il Paese.
Lo dobbiamo a chi difese le aziende perché i nazisti, scappando, volevano distruggerle.
Anche quando l’obiettivo immediato era la libertà, si pensava al dopo, alla ricostruzione, perché si sapeva che per essere veramente liberi bisognava, finita la guerra, avere un lavoro che consentisse di vivere dignitosamente.
Si capiva l’importanza dello studio (molti partigiani dedicavano i momenti di riposo allo studio) perché solo attraverso la conoscenza è possibile interpretare e comprendere la realtà che si vive.
La nostra libertà la dobbiamo ai tanti uomini e alle tante donne, contadini, insegnanti, operai e membri delle più disparate classi sociali, che contribuirono al risultato finale, a dimostrazione che la Resistenza fu un vero fenomeno di popolo.
E dalla Liberazione, dalla Resistenza, nacque la Costituzione che, non a caso, pone il lavoro quale fondamento della Repubblica.
Tutti i diritti che in questi giorni di disposizioni emergenziali ci sono vietati, e che credevamo scontati, provengono da ciò che accadde in quegli anni e che culminò nel 25 aprile.
La Liberazione e la Resistenza hanno dato il via ad una lunga e non semplice stagione di modernizzazione e di conquista di diritti.
Sarebbe stato possibile tutto questo se la dittatura avesse vinto?
Chi puntualmente ogni anno denigra e ridicolizza il 25 aprile lo fa perché vuole cancellare la storia e renderci indifferenti. Ma essere indifferenti è l’esatto contrario di essere partigiani.
Se quegli uomini e quelle donne di 75 anni fa fossero stati indifferenti al fascismo ed al nazismo, che sarebbe stato del nostro Paese?
Senza fare paragoni improbabili tra epoche così differenti, siamo certi che l’Italia dopo questa crisi rinascerà e che il lavoro, ancora una volta, la salverà.
Ci sarà una nuova ricostruzione da portare avanti. I nostri nonni e padri la portarono avanti in condizioni e con mezzi ben peggiori di quelli che abbiamo oggi a disposizione.
Alcuni di loro se ne sono andati in questi giorni, ma siamo certi che li avremmo avuti al nostro fianco a gridare ancora una volta: VIVA IL 25 aprile!
Quest’anno lo diremo a gran voce in tutta Italia dalle nostre case e dai nostri balconi, partecipando all’appuntamento indetto dall’ANPI #bellaciaoinognicasa, perché anche se non saremo in piazza saremo insieme.
Ed è cosi che la Camera del Lavoro di Reggio augura a tutti un buon 25 aprile, in attesa di ritrovarsi il prossimo anno in piazza, più numerosi e più consapevoli.
Ivano Bosco, segretario generale Cgil Reggio Emilia