Verità per Giulio Regeni

“ANCHE 100MILA EURO AL GIORNO”

Giovedì 5 novembre 2020, nell’aula d’Appello della Dozza a Bologna, si discute la posizione di Pasquale Riillo, condannato in primo grado nel processo Aemilia a 26 anni e 8 mesi per appartenenza alla cosca mafiosa e per altri 8 capi di imputazione.

di Paolo Bonacini, giornalista

La falsa fatturazione in Emilia Romagna – 1 Il “Sistema Gualtieri”

Giovedì 5 novembre 2020, nell’aula d’Appello della Dozza a Bologna, si discute la posizione di Pasquale Riillo, condannato in primo grado nel processo Aemilia a 26 anni e 8 mesi per appartenenza alla cosca mafiosa e per altri 8 capi di imputazione.

Le vicende che lo coinvolgono vengono trattate in aula dagli avvocati Salvatore Staiano e Luca Andrea Brezigar (difensori che chiedono l’assoluzione) e dal sostituto procuratore generale Lucia Musti (accusa che chiede la conferma delle condanne riunificate in 22 anni, con la sola esclusione di una bancarotta fraudolenta).

Sarà una decisione importante, quella che prenderanno i giudici (Alberto Pederiali, Maurizio Passarini, Giuditta Silvestrini) su Pasquale Riillo, perché la sua storia e i fatti a lui contestati ci rimandano direttamente al cuore di Aemilia sotto due versanti fondamentali. La nascita della più grande inchiesta sulla ‘ndrangheta al Nord e la incredibile capacità di generare guadagni illeciti attraverso la falsa fatturazione e le “società cartiere”.

Come sia iniziata l’indagine Aemilia è quasi tema da letteratura, ma la realtà ci insegna che difficilmente un solo fatto, o un solo giorno, o una sola persona, danno il via alle grandi cose. Ci sono “tanti inizi” di questa storia, e uno è certamente rappresentato dagli sviluppi dell’indagine “Point Break” sulle false fatturazioni nel modenese, sfociata nell’omonimo processo e nelle condanne definitive del 2014/2015.

Dicono i giudici di Reggio Emilia che “L’indagine Aemilia trova la sua genesi in Point Break” e prima di loro racconta in aula il maresciallo del Nucleo Investigativo Carabinieri, Emidio D’Agostino, nell’ottobre 2016: “L’indagine Aemilia nasce nel luglio 2010, subito dopo le custodie cautelari emesse con Point Break… che aveva fatto piena luce sulle attività a Maranello (MO) dei fratelli Pelaggi, crotonesi che avevano creato un sistema, un intreccio di imprese, con le quali gestivano le cosiddette Frodi Carosello attraverso il reimpiego dei soldi ricevuti dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto”. La mente dei fratelli Pelaggi è Paolo, che gestiva nel distretto ceramico la società Point One spa, poi fallita, e che riappare a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, quando i Carabinieri di Modena mettono nuovamente sotto controllo i suoi telefoni. Nella bassa reggiana Pelaggi opera assieme a personaggi di avventura già noti alle Forze dell’Ordine, tra i quali spiccano i nomi di Giuseppe Giglio e Pasquale Riillo, oltre a numerosi membri della famiglia Muto. “Nel corso delle indagini emerge un altro dato” aggiunge D’agostino, e cioè che “gli Arena erano spariti, non c’erano più, e cominciamo a vedere un gruppo di cutresi molto forte, legati alla cosca Grande Aracri, che avevano preso il posto, sostanzialmente, della cosca di Isola Capo Rizzuto”. Gli inquirenti guidati dal sostituto procuratore antimafia Marco Mescolini, pubblico ministero al processo Point Break, raccolgono in tre/quattro mesi una grande mole di dati che rappresenterà, spiega sempre D’Agostino, “il primo nucleo del fascicolo dell’operazione Aemilia”. Dati che testimoniano uno “spostamento degli assi di potere, dei mutati equilibri criminali a vantaggio dei Nicoscia e dei Grande Aracri”.

Come funziona questo sistema delle false fatturazioni che Pelaggi prima, e il futuro collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio poi, perfezionano ed evolvono? Lo riassume la sentenza di Reggio Emilia: “…La falsa fatturazione era basata su una serie di passaggi documentali, volti ad ostacolare gli accertamenti. Si riscontrava costantemente che i beni originariamente ceduti, dopo questi passaggi, tornavano in capo al primo titolare. Carattere peculiare delle operazioni realizzate era, dunque, la circolarità delle stesse, le quali risultavano essere inesistenti, sebbene le spedizioni fossero effettuate e le operazioni suffragate da movimentazioni bancarie. L’illecito profitto consisteva, per la società beneficiaria, nell’ammontare dell’IVA a credito e, per gli imputati, nelle percentuali di guadagno derivanti da ogni singolo passaggio, quantificabile in totale in circa il 6/7 % dell’importo della fattura finale. Tale meccanismo illecito consentiva a società terze di evadere le imposte e produceva un profitto in capo ai soggetti coinvolti”.

Nella Bassa reggiana e nel nuovo mondo di Aemilia, per dare “nuova linfa operativa al precedente sistema”, vengono costituite altre società o modificate quelle esistenti. Nascono la Multi Media Corporate Ltd  e la MT Trading Ltd (sedi legali in Svizzera), la CSI Technology srl, la INT srl, la Core Technology srl, e via così. Gli effetti delle frodi fiscali sul tessuto economico e sulle dinamiche del lavoro, le illustra bene “il sistema Gualtieri”: termine coniato dagli inquirenti e richiamato da Lucia Musti alla Dozza, che sta a significare la capacità della cosca di monopolizzare il mercato. Valgano a spiegarlo le parole di un imprenditore cutrese che opera da “padroncino” nel campo dei trasporti di inerti proprio a Gualtieri, e che non ce la fa più a reggere la concorrenza delle imprese di ‘ndrangheta, capaci di abbassare il costo del servizio quanto si vuole. Si chiama Gregorio Andreoli e nel 2011 telefona a Giuseppe Giglio per metterlo al corrente dei suoi problemi. Poi, di fronte alle risposte dure dell’altro, getta la spugna e cerca di ingraziarselo ricordando la propria “vicinanza storica” alla cosca che spadroneggia.

Andreoli: “Io sto per fallire, te lo dico liberamente. Siete andati lì (a Gualtieri) con dei prezzi… io non so come fate. E vi dico che a queste condizioni il trasporto non si salverà mai!”

Giglio: “Ohi Andreò! Non mi fari ‘sti discursi, perchè vedi… un mi stannu boni ‘sti discursi che tu mi stai facendo…”

Andreoli: “Il nonno mio ha fatto 35 anni di galera e la vita la sò com’è… mi spiego? E io vi rispetto. Però voglio anche essere rispettato, Pino…”

Giglio: “Devi capire che oggi… unn’è ca unu… nun si spagna nuddu e nadru (tu non spaventi nessuno). Mi segui?”

Andreoli: “Ma mi sembra che con i paesani io non ho sbagliato. Fino ad oggi non vi ho mai chiesto fammi lavorare qua… fammi lavorare là… Non ho rotto le scatole a nessuno, per l’Amor di Dio: mai! Cerco di stare al posto mio. Però Pino, io ti ho sempre rispettato…”

Giglio: “Il rispetto senz’altro lo abbiamo, ohi! Perché … mi segui? Giramu stu munnu che è ‘na vita… quindi non è ca… ancuna cosa a caminare l’amu ‘mparata, ohi… Andreò!”

“Giriamo ‘sto mondo da una vita”, dice Giuseppe Giglio ad Andreoli, “e a forza di camminare qualche cosa l’abbiamo imparato”.

Hanno imparato ad esempio a mettere in piedi un sistema articolato e perfettamente oliato di false fatturazioni, del quale lo stesso Giglio diviene mente, controllore ed artefice, fino agli arresti di Aemilia del gennaio 2015. È lui stesso a dire, dopo l’inizio della collaborazione con la DDA: “A Reggio Emilia il guadagno maggiore che arrivasse alla ‘ndrangheta era la fatturazione. Fruttava 70, 80, anche 100mila euro al giorno…”.

Oggi le cose non sono migliorate, anzi. È anche peggio, perché le inchieste e i processi più recenti ci raccontano che il ricorso alla falsa fatturazione da parte di sistemi criminali operanti sul territorio regionale è cresciuto e si è evoluto, diventando il più sofisticato e redditizio sistema di arricchimento al quale fanno ricorso sia organizzazioni criminali ordinarie che di stampo mafioso. Dice la sentenza di Aemilia del 31 ottobre 2018: “Il campo elettivo di azione illecita (della cosca di ‘ndrangheta) è rappresentato dalla falsa fatturazione che, superata la sua consolidata funzione di copertura di attività estorsiva, è divenuta, essa stessa, un vero e proprio business criminale. Ora sono gli imprenditori, non più vittime, a chiedere la fattura, per il loro vantaggio illecito. Pagano il prezzo del servizio per aumentare il proprio credito, abbattere l’imponibile o accrescere il giro d’affari”.

Dopo il 2018 le inchieste delle Direzioni Distrettuali Antimafia e delle Procure provinciali si sono moltiplicate portando alla luce un impressionante volume di illeciti. Si va da Grimilde (Brescello) a Camaleonte e Taurus (Veneto), da Work in Progress, Paga Globale, Daunia (Parma) a Evasion Bluffing, Octopus, Billions (Reggio Emilia). Sistemi criminali con diramazioni in tutta Italia e anche all’estero, ma con cuore operativo in Emilia, e in particolare tra le province di Parma e Reggio Emilia. Non è automaticamente un disonore, perché può anche significare che qui a casa nostra si è sviluppata una capacità di contrasto dell’illecito in campo economico che non ha eguali altrove. Che le tecniche investigative di Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia, assieme all’esperienza delle Procure di Parma e Reggio Emilia, riesce qui a stare al passo con l’evoluzione moderna dei sistemi criminali dando loro filo da torcere. L’ultima inchiesta in ordine di tempo è del 27 ottobre, condotta dalla Guardia di Finanza di Fidenza (PR) e denominata Daunia (antico nome del Gargano).  Svela un’imponente frode fiscale commessa da varie società, che operavano attraverso un consorzio con sede nel comune di Sorbolo (PR). Le consorziate, tutte attive nel settore della manutenzione degli impianti industriali, vantavano contratti per considerevoli forniture di servizi con aziende di primaria rilevanza, stipulati a prezzi altamente competitivi grazie agli illeciti risparmi fiscali su cui potevano contare.

Complessivamente le indagini dell’ultimo decennio hanno fatto emergere affari illeciti per un valore che supera il miliardo di euro, con 250 milioni di crediti fraudolenti d’IVA. Possiamo distinguere quattro macro aree d’azione: l’autoriciclaggio, il “do ut des” dove si realizza il malsano incontro tra sistemi criminali e imprenditoria locale, le Frodi Carosello che sfruttano le norme comunitarie e infine quella forse più preoccupante: la falsa fatturazione e la falsa documentazione strumentali alla alterazione dei mercati, alla conquista di commesse e gare d’appalto, all’abbattimento dei costi del lavoro praticato in parallelo con lo sfruttamento della mano d’opera. A queste diverse metodologie dedicheremo gli opportuni approfondimenti nelle prossime puntate, senza dimenticare il percorso dei soldi: un fiume di denaro che transita sui conti correnti postali e bancari e viene monetizzato attraverso le cosiddette operazioni di “smurfing”. Significa un elevato numero di prelievi per contanti di modesta entità, praticato quotidianamente in un vasto territorio di riferimento, il cui obbiettivo è restare al di sotto della soglia d’attenzione. È sviare i controlli e le indagini; è rendere muti i campanelli d’allarme.

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