Verità per Giulio Regeni

ANTONELLA DE MIRO AL CONSIGLIO DI STATO

Il comunicato stampa n.67 del Consiglio dei Ministri presieduto da Giuseppe Conte, riunito domenica 18 ottobre, contiene una sintesi del Disegno di Legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e sulle linee guida per il triennio 21/23.

di Paolo Bonacini, giornalista

Il comunicato stampa n.67 del Consiglio dei Ministri presieduto da Giuseppe Conte, riunito domenica 18 ottobre, contiene una sintesi del Disegno di Legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e sulle linee guida per il triennio 21/23.

Vengono segnalati dieci ambiti importanti di investimento, dalla sanità alla famiglia, dal taglio del cuneo alla riforma fiscale, dalle misure di sostegno all’economia a quelle che interessano lavoro, previdenza, trasporti pubblici, scuola università e cultura.

Lo stesso comunicato riassume molte altre decisioni del Consiglio dei Ministri, alcune delle quali destano anche una certa curiosità, come l’apertura di una ambasciata italiana a Bamako, nel Mali, o l’assegnazione del titolo di “capitale italiana del libro” per l’anno 2020 alla cittadina di Chiari, un comune di 20mila abitanti in provincia di Brescia.

Il dodicesimo punto trattato dal Consiglio dei Ministri riguarda l’assegnazione di diversi incarichi in campo giudiziario e leggiamo che su proposta del presidente Giuseppe Conte sono stati nominati tre nuovi membri del Consiglio di Stato: il generale di corpo d’armata Riccardo Amato, l’avvocato Luca di Raimondo  e il prefetto Antonella De Miro.

La “nostra” Antonella De Miro, cittadina onoraria di Reggio Emilia.

La nomina era nell’aria dopo la conclusione dell’esperienza a Palermo, dove ha guidato da villa Whitaker la prefettura del capoluogo della Sicilia dal gennaio 2016 all’aprile scorso.

Antonella De Miro non è una di quelle figure dello Stato che va tranquillamente in pensione e averla indicata per le importanti funzioni di giustizia amministrativa del CdS è una scelta meritoria del Consiglio dei Ministri.

Dell’ex prefetto di Reggio Emilia, insediata nel Palazzo Ducale di Corso Garibaldi dal 2009 al 2014, abbiamo già parlato tantissime volte. Il suo contributo al contrasto della penetrazione mafiosa che ha colpito la provincia è stato fondamentale e il suo nome è tra i più ripetuti nelle 10mila pagine di motivazioni delle sentenze del 2018 relative al processo Aemilia. Possiamo riassumere il senso dell’impegno di Antonella De Miro a Reggio con una frase già scritta nel febbraio 2019, quando ricevette in Sala del Tricolore la cittadinanza onoraria di Reggio Emilia dal sindaco Luca Vecchi: “Antonella ha svolto il suo lavoro di funzionaria dello Stato con la ‘forza della leggerezza’ che solo una grande solidità di valori e altrettanto grandi chiarezza dei doveri e competenza di merito sanno alimentare. Ha messo sotto la lente di ingrandimento le attività e le storie di imprese importanti e di nomi accreditati nei salotti buoni della città, senza guardare in faccia a nessuno e senza farsi intimidire da minacce dirette e dalla macchina del fango che inevitabilmente si mette in moto quando le altre strade sono precluse”.

Analogo impegno ha profuso nella capitale italiana della mafia per eccellenza, Palermo, ma una curiosa coincidenza di questi giorni ci consente di parlare di lei in riferimento ad un altro incarico che ha caratterizzato la sua vita da prefetto, dopo Reggio Emilia e prima di Palermo: quello a Perugia.

In Umbria non s’è fermata tanto la De Miro: dal settembre 2014 al gennaio 2016. Ma di lei e del suo lavoro in quel periodo ci parla l’udienza preliminare del processo “Spazzatura connection” che si è tenuta la settimana scorsa all’auditorium Capitini di Perugia, con le richieste di rinvio a giudizio presentate da un pubblico ministero assai noto: il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, per cinque anni e mezzo presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ed ora capo della procura nel capoluogo umbro.

Spazzatura Connection racconta un’ordinaria storia di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, che ha prodotto un devastante inquinamento ambientale frutto di ripetuti smaltimenti illeciti, scoperto dai carabinieri forestali nel 2013. Una truffa milionaria con falsi in registri e frodi in atti pubblici che ha coinvolto una azienda a partecipazione pubblica (45% delle quote in mano al comune di Perugia): la Gesenu Spa. Una impresa potente, capace di chiudere l’esercizio 2014 con 103 milioni di fatturato e il 2015 con un utile di 1,4 milioni. Una azienda sulla quale il 26 ottobre 2015 arriva una tegola grande come una interdittiva che i giornali del posto commentano così: “La notizia è di quelle mai sentite prima, a Perugia. E’ la prima volta, infatti, che un’azienda a partecipazione pubblica viene interdetta sulla base della normativa antimafia. L’azienda che gestisce la raccolta di rifiuti sembra ormai essere caduta in un tunnel da cui è difficile intravedere la luce. Il provvedimento firmato dal prefetto Antonella De Miro, una misura di carattere preventivo, riguarderebbe gli affari di un consorzio del catanese, la Simco, di cui Gesenu fa parte, per presunte infiltrazioni da parte della criminalità organizzata”.

C’è in realtà molto di più nel provvedimento del prefetto, che resiste nell’ottobre del 2015 anche al ricorso presentato al Tar dai vertici aziendali. In Gesenu lavorano dipendenti pregiudicati e soggetti appartenenti alla cosca catanese Santapaola/Ercolano, uno dei quali ha tentato di estorcere soldi alla stessa Gesenu. Il capitale privato della società di smaltimento rifiuti è inoltre riconducibile a personaggi titolari di società a loro volta interdette o coinvolte in procedimenti penali per traffico e smaltimento illecito di rifiuti. Gesenu detiene tra l’altro il 10% del capitale sociale della Tirreno Ambiente spa, importante operatore siciliano anch’esso a capitale misto pubblico/privato, che gestiva la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea in provincia di Messina. I vertici della Tirreno Ambiente e il rappresentante legale della Gesenu sono finiti sotto inchiesta per un complesso giro di false fatturazioni, scoperto dalla Guardia di Finanza di Messina, che svuotava le casse dell’azienda per riempire le tasche degli indagati. Con il benestare, a quanto pare, di diversi amministratori del piccolo paese siciliano il cui Consiglio Comunale è stato in seguito sciolto per infiltrazione mafiosa. Fermiamoci qui e torniamo all’udienza preliminare di Perugia, dove Raffaele Cantone ha chiesto pochi giorni fa il rinvio a giudizio di 16 persone per una sfilza di reati collegati ai traffici illeciti di rifiuti. La Gesenu era il cuore di questa gestione irresponsabile e truffaldina dello smaltimento, e “solo grazie all’interdittiva antimafia emessa da un coraggioso prefetto di Perugia”, dice Cantone, “la società è stata costretta a cambiare gestione e noi vigileremo per controllare che il cambio sia stato effettivo”.

Il coraggioso prefetto è naturalmente Antonella De Miro e questa storia ci dice quanto sia importante l’azione preventiva nel contrasto alla criminalità organizzata e nello sviluppo delle indagini.

Il Consiglio di Stato a cui ora approda Antonella De Miro è un organo di rilievo costituzionale, al quale giungono le cause inerenti gli atti delle pubbliche amministrazioni e che svolge funzioni di consulenza giuridico amministrativa del Governo, delle Regioni e di Camera e Senato. È il secondo grado, dopo il Tar, che si esprime nei ricorsi riguardanti proprio quelle interdittive antimafia che Antonella de Miro ha scritto e firmato da prefetto in varie regioni d’Italia. È il luogo ideale in cui le competenze dell’ex prefetto di Reggio potranno contribuire a realizzare, come detto in una sentenza dello stesso Consiglio di Stato, la 758 del gennaio 2019, quella “frontiera avanzata della prevenzione con strumenti che debbono armonizzarsi, adattarsi, modificarsi, anche in relazione a storie, tradizioni e metodi di ciascun territorio contaminato. Per prevenire anche l’insidia della contiguità compiacente e le condotte ambigue di quegli operatori economici che, pur estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Simili condotte non solo sono un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato a quel fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento il valore della persona (art. 2 Cost.), anche in ambito economico”.

Antonella De Miro così commenta oggi il nuovo incarico: “La segnalazione del Ministro dell’interno accolta dal Presidente del Consiglio, approvata dal Consiglio di Stato e deliberata dal Governo, è motivo per me di grande orgoglio, coronamento di un lungo impegno professionale svolto nei diversi contesti territoriali  con grande passione per la legalità e la sicurezza. È un privilegio ed un onore potere continuare a servire il mio Paese,  assicurando il convinto impegno di sempre”.

Non resta che augurarle: “Buon lavoro dottoressa De Miro”.

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