Verità per Giulio Regeni

RICERCA FIOM: LE DISCRIMINAZIONI DI GENERE CAUSATE DALLA “MERITOCRAZIA DELLE AZIENDE”

FIOM “ACCETTIAMO LA SFIDA DI UNINDUSTRIA SULLA PARITA’ ”
UOMINI CON SUPERMINIMI DOPPI RISPETTO ALLE DONNE

“Non si può parlare di parità di genere l’otto marzo e poi dimenticarsene il resto dell’anno, per questo portiamo all’attenzione della cittadinanza e delle Istituzioni la grave situazione delle differenze economiche tra uomini e donne nelle imprese metalmeccaniche reggiane” si apre così la nota della Fiom Cgil di Reggio Emilia in merito al “Report sulla situazione salariale e occupazionale per generi nel settore metalmeccanico reggiano”.

Dal Report emergono disparità su tutti i fronti: dalle assunzioni alle retribuzioni, dall’inquadramento ai carichi di cura dei figli, finanche nella formazione professionale.
La ricerca della Fiom reggiana è forse una delle prime e più estese svolte su questo tema in Italia, ed essendo basata su dati forniti dalle imprese, restituisce un quadro oggettivo e preciso della situazione.

Dall’analisi dei “Rapporti Biennali sul personale maschile e femminile” compilati da 97 imprese metalmeccaniche reggiane sopra i 50 dipendenti, con un totale di oltre 26 mila lavoratori coinvolti (due metalmeccanici su tre), il primo dato che salta agli occhi è un processo di “maschilizzazione” di un settore in cui gli uomini sono già larga maggioranza, ma dove tra i neoassunti la tendenza va a rafforzare questo dato.

La media degli impiegati uomini guadagna annualmente il 34% in più delle colleghe donne, mentre tra gli operai la differenza è del 13%.

“Dove sono più pesanti i cosiddetti “aumenti di merito”, dove cioè è maggiore l’incidenza della contrattazione individuale, lì sono più ampie le differenze tra uomini e donne – spiega la Fiom di Reggio – al contrario, dove è forte la contrattazione collettiva si hanno differenze inferiori”.

I dati che le imprese metalmeccaniche hanno inviato alla Regione ed alle Rsu sono impietosi: agli impiegati uomini vengono riconosciuti superminimi individuali pari al 264% di quelli delle colleghe donne.

“La contrattazione collettiva unisce, la discrezionalità di impresa sui salari individuali divide e produce ingiustizia – sottolinea Luana Mazza della Segreteria Provinciale della Fiom – per questo accettiamo la sfida lanciata dalla Presidente di Unindustria Reggio Emilia l’otto marzo: utilizziamo anche la contrattazione collettiva per arrivare a una parità salariale di genere vera e di sostanza”.
La Fiom di Reggio sta proponendo, a partire dalle aziende con più di cento addetti in cui si rinnoveranno i contratti aziendali, di aprire confronti sindacali per analizzare le differenze di genere e insieme alle direzioni aziendali trovare gli strumenti per ridurre i gap esistenti.

“Non vi è dubbio che avere risposte positive sulle rivendicazioni salariali che stiamo facendo in decine di aziende del territorio potrebbe essere un primo passo – continua Mazza – riconoscere importanti aumenti uguali per tutti, senza distinzioni di livello o di genere, è un modo efficace per ridurre il gender gap retributivo”.

La fotografia scattata dal Report Fiom mostra che le donne, sia operaie sia impiegate, fanno meno ore di formazione e che i quadri uomini hanno premi di produttività superiori del 63% rispetto alle colleghe. Mentre tra gli operai gli uomini fanno oltre il doppio delle ore di straordinario delle colleghe.

Proprio il tema dell’orario, che intreccia la dimensione lavorativa, quella economica e quella di cura, mostra come in Italia continui ad esistere una forte asimmetria nella gestione dei figli: le madri utilizzano il congedo parentale due volte e mezzo i padri, l’utilizzo del part time tra le donne è dieci volte quello degli uomini, lo smart working tra gli impiegati vede le donne superare i colleghi di oltre il 30%. Cosi come si vedono le donne operaie fare meno straordinari dei colleghi uomini (pari a circa una settimana lavorativa all’anno).

Tutti questi elementi dimostrano come nelle famiglie, se si deve ridurre l’orario di lavoro per favorire la cura dei figli, la scelta cade quasi sempre su chi ha salari inferiori (le madri), mentre se c’è da aumentare l’orario la scelta cade sugli uomini. Una condizione aggravata da un fattore culturale, laddove in Italia si dà ancora per scontato che il grosso del lavoro di cura debba essere in capo alle donne.
Per la Fiom la contrattazione collettiva può incidere sul cambiamento, sia per modificare le condizioni economiche, sia per contrastare una cultura maschilista sul lavoro di cura che non ha senso di esistere: nelle piattaforme per i contratti aziendali, ad esempio, si sta chiedendo di estendere il congedo parentale al 100% per i padri, per favorire una maggior eguaglianza all’interno delle famiglie, che non devono più essere costrette a scegliere per ragioni economiche.

“Con la contrattazione collettiva le aziende hanno la possibilità di dare risposte alle questioni sollevate da questa analisi: occorre andare oltre alla retorica “pink”, servono azioni concrete e verifiche della loro efficacia definite insieme al sindacato” ribadisce Valentina Orazzini della Fiom Nazionale che nei giorni scorsi ha partecipato alla presentazione del Report alla Assemblea Generale della Fiom.

Se le condizioni economiche e di orario delle donne metalmeccaniche reggiane sono queste, viene normale chiedersi quali sono le cause.
“I dirigenti uomini sono il 93% del totale, i quadri uomini l’85% del totale. Tra gli impiegati ogni due donne con ruoli di coordinamento ci sono tre uomini, mentre nei ruoli esecutivi le donne sono il doppio in proporzione rispetto ai colleghi, questa è la geografia del potere nelle aziende metalmeccaniche – spiega la Fiom di Reggio – a cui si aggiunge una cultura maschilista diffusa che produce effetti in tutte le scelte che riguardano le condizioni di lavoro.”

Dal punto di vista della professionalità ci sono differenze anche tra gli operai, che rappresentano la maggioranza degli addetti: i ruoli operai professionalmente più alti (capi, responsabili, gestione macchine) sono coperti quasi esclusivamente dagli uomini, mentre le operaie sono spesso in ruoli a minor valore aggiunto e minor apporto di conoscenza, “da questo punto di vista non è indifferente che le aziende stiano facendo poca formazione, e che le donne, sia operaie sia impiegate, ne stiano facendo meno dei colleghi uomini” dichiara Maria Lina Bigoni, Rsu della Walvoil.

“Chi dirige le aziende decide le politiche del personale, definendo i percorsi formativi, le crescite professionali, i salari dei lavoratori. Quando questi aspetti sono gestiti individualmente, in maniera unilaterale dall’alto, le donne hanno una condizione lavorativa peggiore dei colleghi uomini. Quando le direzioni aziendali accettano di regolare collettivamente la formazione, quando gli aumenti salariali sono fissi e si stabilizzano i precari, le disuguaglianze possono diminuire perché le regole collettive non contengono filtri e pregiudizi culturali e sono uguali per tutti.” chiosa il Segretario provinciale Fiom Simone Vecchi.

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