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GRIMILDE: I PRIMI 264 ANNI DICARCERE

A poco più di un anno dagli arresti (era l’11 giugno 2019) decisi dal giudice Alberto Ziroldi, al processo Grimilde che ne è scaturito arrivano le prime richieste di condanna per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.

di Paolo Bonacini, giornalista

A poco più di un anno dagli arresti (era l’11 giugno 2019) decisi dal giudice Alberto Ziroldi, al processo Grimilde che ne è scaturito arrivano le prime richieste di condanna per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.
Le ha presentate nell’aula della Dozza a Bologna la dott.ssa Beatrice Ronchi, Pubblico Ministero ben nota in regione per gli altri due importanti processi alla ‘ndrangheta di cui si è occupata e si occupa tutt’ora: Aemilia tra Reggio e Bologna, Aemilia 92 in Corte d’Assise (RE).
Ricordiamo che 81 erano le persone rinviate a processo in Grimilde, per una cinquantina di reati che vanno dall’associazione mafiosa alla corruzione, dalle minacce alla calunnia, con il sottofondo di una miriade di intestazioni fittizie di beni, società, carte di credito e conti correnti, nonché di false documentazioni servite a truffare lo Stato e la Comunità Europea per milioni di euro. Ma anche con le onnipresenti pratiche di maltrattamento dei lavoratori. Carpentieri e muratori in particolare, reclutati secondo l’indagine dal vecchio boss Francesco Grande Aracri, che insegnava al figlio Salvatore detto “Calamaro” come si sfrutta al meglio il caporalato e andava personalmente a Bruxelles per gestire le attività che varcavano i confini. Doverosa dunque la costituzione di parte civile di cinque organizzazioni sindacali, CGIL, CISL e UIL regionali, più le Camere del Lavoro di Reggio Emilia e Piacenza, tra le 17 ammesse dal giudice Sandro Pecorella.
Il tutto commesso tra il 2004 e il 2018, con particolare intensità d’azione negli ultimi quattro anni, quando gli uomini liberi della cosca coprivano anche i vuoti lasciati da quelli in galera. Quando qualcuno qui s’illudeva che tutto fosse finito con Aemilia e invece loro agivano secondo il collaudato sistema di infiltrazione nelle attività economiche e nei centri decisionali.
A tirare le fila dell’associazione a delinquere di Grimilde erano in particolare diversi membri delle famiglie Grande Aracri, Passafaro e Muto, insediate tra Brescello, Gualtieri e Viadana, con un imputato politico eccellente: l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso, arrestato assieme al fratello Albino nel giugno dello scorso anno.
Lo stesso Caruso è uno dei 47 imputati del rito abbreviato (su 48) per i quali la dott.ssa Ronchi ha chiesto la condanna. L’unica domanda di assoluzione riguarda Nicola Tafuni, 62enne originario di Bari accusato dell’intestazione fittizia di una società, la Viesse di Brescello, attiva nel catering e nella gestione di esercizi pubblici, uno dei quali era una pizzeria d’asporto genialmente denominata “La qualunquemente mangi” di Albanesiana memoria.
Le pene richieste sono pesanti ma calcolate secondo i criteri utilizzati dalla Corte di Reggio Emilia per le condanne di primo grado in Aemilia. Per uno dei presunti capi della organizzazione mafiosa, Salvatore Grande Aracri, nato a Cutro nel 1979 e residente a Brescello da una vita, figlio di Francesco (che ha scelto il rito ordinario e verrà processato a Reggio Emilia a partire dal 16 dicembre), sono stati chiesti 20 anni di carcere sommando i 51 reati di cui deve rispondere, ai quali andrà poi sommata un’altra misura di sicurezza di 2 anni in casa di lavoro. Da notare che la PM per Salvatore Grande Aracri chiede il “non luogo a procedere” per l’appartenenza alla organizzazione mafiosa in relazione a tutto il periodo che va dal novembre 2011 all’ottobre 2012. E questo non perché Salvatore in quella parentesi temporale si fosse ravveduto ma perché, come stabilito da una sentenza del giudice Sandro Pecorella (che riguarda il padre Francesco), non si può per ora giudicare quel periodo per un errore procedurale della Direzione Antimafia.
La seconda richiesta più pesante (15 anni e 10 mesi di carcere più 2 di casa di lavoro) riguarda proprio il “politico” Giuseppe Caruso, dipendente dell’Ufficio delle Dogane di Piacenza, accusato del 416bis assieme al fratello Albino (chiesti per lui 15 anni) e capace, a proprio dire, di muovere mari e monti per gli interessi della cosca. Giuseppe Caruso era in Consiglio Comunale a Piacenza in quota alla formazione di destra Fratelli d’Italia, la cui leader nazionale Giorgia Meloni ha annunciato la sua espulsione dal partito dopo l’arresto.
Altri personaggi importanti della cosca mafiosa secondo la PM sono Claudio Bologna (chiesti 15 anni), Giuseppe Lazzarini (12 anni e 8 mesi), Domenico Spagnolo (14anni e 4 mesi), Giuseppe Strangio (14 ani e 4 mesi), Pascal Varano (13 anni) e Leonardo Villirillo (12 anni e 2 mesi). Poi ci sono diversi membri della famiglia Muto già nota alle cronache di Aemilia, insediata tra Gualtieri e Brescello. Proprio a Gualtieri (il “regno dei Muto”, si diceva nell’aula di Aemilia) la PM ha chiesto la confisca di beni della famiglia legati ai reati contestati: un capannone industriale, una abitazione, un terreno di 74 are e altri diritti di proprietà. In termini di anni di carcere le richieste per i Muto riguardano Francesco (14 anni e 6 mesi), Luigi classe ’75 (4 anni e 4 mesi), Luigi classe ’87 (1 anno), Cesare (3 anni e 10 mesi), Antonio classe ’71 (4 anni e 2 mesi). Nella famiglia Grande Aracri chiesti 3 anni e 6 mesi per Rosita, sorella di Salvatore, e 4 anni e 8 mesi per l’immancabile Nicolino, che alle attività svolte a Brescello deve molto delle sue fortune e altrettanto delle sue sfortune (in particolare giudiziarie). Tre richieste di uguali condanne (4 anni e 4 mesi) riguardano altrettanti personaggi già condannati in via definitiva in Aemilia come “capi” della cosca emiliana: Alfonso Diletto, Nicolino Sarcone e Romolo Villirillo. Pena più pesante invece (7 anni) per le usure e le estorsioni attribuite ad un altro nome noto di Aemilia: Antonio Silipo. Ci sono infine richieste più contenute (da 2,4 a 3 anni) per i membri delle famiglie Pucci e Passafaro, legate ai Grande Aracri attraverso le mogli di Francesco e Salvatore, che hanno scelto l’abbreviato. Altri di loro attendono invece il rito ordinario.
In quella sede il dibattimento in aula ci consentirà di approfondire i reati contestati, che segnano un salto di qualità nella capacità della ‘ndrangheta emiliana di sfruttare ogni possibilità per lucrare nel mercato economico, accalappiando e spremendo imprenditori ingenui o in difficoltà o di scarsa rettitudine. Il giorno prima della richiesta di condanne, nella sua requisitoria, Beatrice Ronchi si è soffermata sul cosiddetto “affare Oppido” (Domenico e Gaetano Oppido verranno processati nel rito ordinario a dicembre) che si discute in Grimilde. Ha sottolineato la gravità dei fatti: una truffa al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per oltre 2 milioni di euro, attraverso il confezionamento di una falsa sentenza della Autorità Giudiziaria di Napoli. Nell’aula della Dozza la dott.ssa Ronchi ha richiamato il passo della sentenza di primo grado a Reggio Emilia nella quale i giudici Caruso, Beretti e Rat parlano di questa vicenda discussa anche in Aemilia. Scrive l’estensore della sentenza dott. Andrea Rat a pagina 1944: “Il cosiddetto affare Oppido rappresenta uno degli esempi più evidenti dell’esistenza del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, delle sue dinamiche interne, del suo funzionamento, della sua potenza criminale e della sua capacità di porre in essere operazioni illecite e di accaparramento di somme di provenienza delittuosa, anche grazie all’appoggio compiacente di operatori del settore finanziario. Le vicende relative all’Affare Oppido, pur integrando reato – una gravissima truffa ai danni dello Stato – non sono state oggetto di specifica contestazione nell’ambito di questo processo, in quanto esso è stato completamente disvelato, in tutta la sua portata criminale, solo in dibattimento, all’esito dell’audizione dei collaboratori di giustizia, Antonio Valerio e Salvatore Muto”.
Aemilia non ha potuto dunque occuparsi della vicenda, ma lo farà Grimilde.

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