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IL TRIBUNALE DI REGGIO DICE NO AI DOMICILIARI: ANGELO GRECO RESTA IN CARCERE

Abbiamo scritto che in questi giorni si moltiplicano le domande di misure alternative al carcere da parte di detenuti per reati di mafia, anche in Emilia Romagna. Uomini indagati o condannati in Aemilia, in Grimilde e in altri processi per ‘ndrangheta, che presentano istanze sulla base delle proprie precarie o sospette condizioni di salute, o perché ritengono di correre rischi di contagio dietro le sbarre.

di Paolo Bonacini, giornalista

Abbiamo scritto che in questi giorni si moltiplicano le domande di misure alternative al carcere da parte di detenuti per reati di mafia, anche in Emilia Romagna. Uomini indagati o condannati in Aemilia, in Grimilde e in altri processi per ‘ndrangheta, che presentano istanze sulla base delle proprie precarie o sospette condizioni di salute, o perché ritengono di correre rischi di contagio dietro le sbarre. Si sono già pronunciati su molti casi, sino ad ora rigettando le richieste, due diversi Giudici del Tribunale di Bologna, ma oggi una decisione è arrivata anche al Tribunale di Reggio Emilia e riguarda Angelo Greco, uno dei quattro imputati del rito ordinario che si sta svolgendo in Corte d’Assise per gli omicidi di Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero, commessi nella provincia emiliana nel 1992. Angelo Greco, detto Lino o Linuzzo, ha oggi 55 anni e attualmente è recluso presso il carcere Lorusso/Cutugno di Torino. La sua statura criminale emerge dalla sentenza in Cassazione del processo Kyterion, inchiesta parallela ad Aemilia, che lo ha condannato definitivamente a 30 anni come uno degli autori materiali dell’omicidio di Antonio Dragone, il capocosca arrivato con un provvedimento di soggiorno obbligati nel 1982 a Reggio Emilia dove impiantò le attività mafiose della cosca cutrese. L’eliminazione di Dragone pose fine alla guerra per il controllo del territorio, tanto in Calabria che in Emilia, decretando l’assoluta supremazia di Nicolino Grande Aracri e dei sui alleati, tra i quali appunto la potente famiglia dei Greco di San Mauro Marchesato. In quella guerra tra ‘ndranghetisti decine e decine furono le vittime, e per i due omicidi del settembre e ottobre 1992 a Pieve Modolena e a Brescello, in provincia reggiana, il processo di primo grado in Corte d’Assise di Reggio Emilia è giunto alla requisitoria finale del sostituto procuratore Beatrice Ronchi, poi interrotta dall’arrivo del coronavirus. Angelo Greco è alla sbarra assieme a Nicolino Grande Aracri, Antonio Ciampà e Antonio Le Rose. Hanno scelto il rito ordinario e rischiano fino all’ergastolo, mentre altri due imputati, il capo reggiano Nicolino Sarcone e il collaboratore di giustizia Antonio Valerio, sono stati condannati rispettivamente a 30 e 8 anni nel rito abbreviato.

A decidere sulla richiesta di arresti domiciliari presentata dai legali di Angelo Greco è stato un collegio di giudici composto da Cristina Beretti, Presidente, Andrea Rat e Dario De Luca. Un collegio che ha grande competenza in materia: Beretti e Rat sono i due giudici che assieme al presidente Caruso hanno condotto il primo grado di Aemilia nell’aula bunker del Tribunale, mentre De Luca assieme alla collega Silvia Guareschi guida proprio la giuria del processo d’Assise in cui è imputato Greco. La decisione dei giudici, che avrà evidentemente tenuto conto sia dei pareri forniti dalla Direzione Investigativa Antimafia che delle opportune informazioni sulle condizioni sanitarie del carcere e del detenuto, rigetta la richiesta di arresti domiciliari e conferma la permanenza di Angelo Greco nella casa circondariale torinese. In quella città dove la sua famiglia di ‘ndrangheta, contando anche su una serie quasi senza fine di relazioni con altre potenti cosche calabresi, ha impiantato solidissime radici giunte fino al ponente ligure, pensando di poter mettere le mani pure sulle ricche commesse dell’alta velocità in val di Susa. L’inchiesta della DDA torinese denominata “San Michele” e il successivo processo, grazie anche alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, hanno svelato la forza e le relazioni della cosca originaria di San Mauro Marchesato giudata da Angelo Greco, condannato in via definitiva per il 416 bis a 7 anni e 4 mesi. Le tre Procure Antimafia (Bologna, Catanzaro e Torino) hanno in estrema sintesi dimostrato e portato a sentenza le strettissime relazioni esistenti al sud, ed esportate al nord, tra i Grande Aracri e i Greco, contando sulla collaborazione di altri potenti capi (Nicolino Sarcone in Emilia e Mario Audia in Piemonte, per fare due nomi). Famiglia che hanno creato nel tempo solide basi per attività illecite nelle due regioni. Una storia ancora aperta e in divenire, come dimostra il sequestro di beni che la Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha disposto nel giugno dello scorso ann0 nei confronti di Greco: appartamenti, società, beni mobili e conti correnti. Tutti riconducibili, benchè intestati anche ad altre persone, a quell’Angelo Greco che, dice la DIA: “Ha avuto lo scopo di commettere delitti in materia di armi, esplosivi, contro la vita e l’incolumità individuale, contro il patrimonio e l’ordine pubblico economico, per ostacolare il libero esercizio del voto”.

Tutto questo per dire che non sono personaggi qualsiasi o di secondo piano che chiedono di tornare a casa vista l’emergenza coronavirus. Qui si parla di capi capaci di orientare le scelte. Capaci di fare la differenza. Materia delicata e difficile per i Tribunali, ma anche per la società civile.

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